Le nostre origini

  • Dopo 500 anni dalla distruzione di Jato con la deportazione dei superstiti a Lucera in Puglia da parte di Federico II, la Valle Jato si ripopola con l’assegnazione di terreni agricoli prevalentemente in enfiteusi Ad alcune famiglie del territorio fra cui alla famiglia Costanza e alla famiglia Mineo .

    Date le piccole dimensioni dei fondi agricoli e la particolare attitudine della Valle alla coltivazione della vite , presente sin dall’epoca della colonizzazione greca, si sviluppa un’agricoltura con colture arboree ad alta redditività.

    La coltura della vite avviene principalmente nelle aree collinari e pedemontane, destinando il fondo valle e le aree limitrofe al fiume Jato a colture quali il grano e il cotone e destinando le aree montane considerate tare improduttive alla coltura del sommacco.

  • Il frazionamento agricolo e la coltivazione della vite, quindi in assenza di latifondo (un unicum nella Sicilia del tempo), determinano la nascita di una classe piccolo borghese agricola che nei decenni successivi si trasforma da enfiteuta a proprietario grazie all’alta redditività della coltura viticola.

    La seconda metà del secolo però si chiude, con la tragedia della fillossera che distrusse la quasi totalità delle coltivazioni a vite determinando una crisi epocale.

    Ci volle almeno un decennio improduttivo per ricostituire il patrimonio viticolo con l’introduzione della vite americana come portainnesto, indenne dall’attacco della fillossera.

    Anni di povertà e sacrificio

  • Monreale riprende a produrre uve di grande qualità, che però soltanto in piccola quota venivano trasformate in loco e che venivano acquistate dalle grandi Case vinicole marsalesi per il tramite di commercianti e mediatori.

    Alcune famiglie cominciavano però a commercializzare il vino direttamente diventando proprietari e gestori di “taverne” a Palermo.

    In tale contesto però la produzione estremamente frazionata, sebbene di grande qualità, risultava penalizzante in termini contrattuali di fronte ad interlocutori con grande capacità finanziaria che si servivano di commercianti e mediatori.

    E’ così che a metà degli anni ‘60 , su iniziativa del Dott. Vincenzo Micciché e di altri produttori della Valle Jato e dell’Alta Valle del Belice,  si costituisce la prima Cooperativa di produttori Castel di Maranfusa con il preciso scopo di aumentare il potere contrattuale degli agricoltori e soprattutto con l’intento di vinificare la quasi totalità delle uve prodotte.

    Nel contempo la Francia, perdendo le sue colonie nordafricane e quindi le sue aziende agricole in Tunisia e Algeria, si trova sprovvista di vini strutturati e a basso costo per tagliare ed aumentare la produzione interna.

    La Sicilia diventa il naturale sostituto come bacino di approvvigionamento di quel tipo di vini e il primo esportatore di vino sfuso verso la Francia

    Questo determina dagli anni 60 agli anni 80 la grande corsa verso produzioni agricole orientate alla quantità.

  • Il Brusco crollo dei consumi pro-capite in tutta Europa, le proteste degli agricoltori francesi con conseguente crollo dell’export di vino verso la Francia che viene solo parzialmente compensato dall’export verso altri paesi come la Russia,

    creano una situazione di grande eccedenza produttiva che viene parzialmente risolta dagli aiuti comunitari alla distillazione del surplus vinicolo e all’estirpo dei vigneti.

    Nasce allora l’esigenza imprescindibile di essere presenti sul mercato con un proprio marchio contemporaneamente ad una repentina riconversione dei vigneti orientati verso la qualità. 

    Si deve a Maurizio Micciché, con la nascita di “Calatrasi”, il ritorno alla coltivazione di vitigni autoctoni con la ricerca di terroir unici ed altresì l’introduzione di vitigni alloctoni su terreni montani e pedemontani che ben si prestavano a riprodurre le condizioni microclimatiche dei territori da cui provenivano .

    Così come l’arrivo di enologi provenienti da esperienze diverse preparati alla vinificazione delle produzioni da vitigni alloctoni ma pronti a valorizzare la produzione degli autoctoni.

  • Grazie alla professionalità del giovanissimo enologo ed agronomo Salvatore Beltempo e alla tenacia di alcuni collaboratori , figli dei principi che la famiglia Miccichè aveva

    seminato nel comprensorio, attraverso il know-how acquisito negli anni, decisero di continuare il progetto iniziato dal luminare Maurizio, dando vita a Domini mediterranei.

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